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Che cosa è il cancro della mammella, chi colpisce?
Epidemiologia e fattori di rischio.

Il carcinoma della mammella è il tumore più frequente nelle donne e rappresenta la seconda causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari, tra i 35 e i 75 anni. Si calcola che circa 1 su 13 donne durante l’arco della propria vita sarà affetta da tale malattia. Il tumore della mammella, raro sotto i 20 anni, diviene via via più frequente a partire dai 30 anni, raggiungendo i valori più alti nel periodo menopausale e post-menopausale, tra i 45 e i 60 anni, mostrando un aumento relativo con il progredire dell’età. Il più comune tipo di cancro della mammella ha origine nel rivestimento dei dotti ed è per questo chiamato carcinoma duttale; il carcinoma lobulare, un’altra variante, si forma invece nei lobuli. Quando il cancro diffonde dalla mammella, la presenza di cellule cancerose può essere rilevata nei linfonodi ascellari. Ciò rappresenta un incremento del rischio di metastasi a distanza. Come per la maggior parte dei tumori, anche per quello della mammella le cause sono tuttora sconosciute; risulta quindi impossibile effettuare una prevenzione primaria, cioè contro i fattori causali.

Il fattore di rischio comunque più importante è l’età, seguita da altri elementi:

Anamnesi di tumore della mammella. Per le donne che hanno già avuto un cancro al seno il rischio di recidiva è maggiore

Storia familiare di carcinoma mammario. Il rischio per una donna di sviluppare il cancro è maggiore se altri membri femminili della famiglia, ne sono state colpite, specie se in giovane età.

Gravidanze tardive. Le donne che hanno avuto figli dopo i 30 anni sono più soggette a rischio di quelle che hanno partorito in giovane età. Altri possibili soggetti a rischio sono le donne che hanno avuto la prima mestruazione in età precoce (prima dei 12 anni), quelle andate in menopausa tardivamente (dopo i 55 anni), chi non ha mai avuto figli, oppure chi si è sottoposta a terapia ormonale sostitutiva o ha fatto uso di contraccettivi orali, ad alta percentuale estrogena e bassa concentrazione progestinica, per lunghi periodi di tempo.

 

Può essere riconosciuto prima che diventi una malattia grave?

La diagnosi precoce del tumore della mammella permette una terapia chirurgica e medica tale da garantire una reale guarigione della malattia. Una diagnosi precoce può essere ottenuta solo attraverso il controllo periodico e sistematico delle mammelle.

L’esame clinico. Occorre distinguere tra la palpazione effettuata dal medico (con finalità diagnostica specifica, basata su preparazione ed esperienza adeguate) ed autopalpazione effettuata dalla paziente stessa. Con quest’ultima la donna deve prendere confidenza con il proprio seno, per accorgersi di eventuali piccoli sintomi o modificazioni e far immediato riferimento al proprio medico di fiducia.Se un tumore della mammella viene identificato e trattato precocemente, le possibilità di sopravvivenza della paziente si moltiplicano.

Ogni donna può svolgere un ruolo fondamentale nella diagnosi precoce del cancro, sottoponendosi regolarmente a mammografia e a visite senologiche (presso medici specialisti). Molto importante è anche l’autoesame del seno.

Quali sono le indagini che possono essere eseguite per fare controlli e per scoprire precocemente il cancro della mammella?

La mammografia è il migliore strumento per diagnosticare precocemente un carcinoma mammario. La radiografia della mammella fornirà al medico importanti informazioni sul nodulo in questione. Se questo esame rivelasse una zona sospetta o poco chiara, un’ulteriore radiografia potrà rendersi necessaria. Nel periodo di maggiore rischio di tumore mammario (oltre i 45 anni), la mammografia è la metodica regina nella diagnosi delle lesioni maligne. Rispetto ad essa, le altre metodiche risultano utili ma complementari.

L’Ecografia impiega onde sonore ad alta frequenza per scoprire se un nodulo è di natura solida o se contiene liquido. E’ praticato spesso in associazione alla mammografia. In base ai risultati dei suddetti esami, il medico deciderà che nessun ulteriore accertamento è necessario e non prescriverà alcun tipo di trattamento. (In tal caso, consiglierà alla paziente di ripresentarsi per regolari controlli, in modo da individuare per tempo eventuali cambiamenti). Tuttavia, spesso è utile prelevare campioni di fluido o di tessuto per formulare una diagnosi precisa. Il medico indicherà quindi alla paziente il nominativo di un chirurgo o di un senologo a cui rivolgersi per altri esami:

Agoaspirato: un ago sottile viene usato per prelevare un campione di fluido da un nodulo mammario: l’esame citologico rivelerà se si tratta di una cisti contenete fluido (lesione non cancerosa) o di una massa solida (lesione che potrebbe essere cancerosa oppure no). L’analisi citologica del fluido prelevato da una cisti potrebbe rivelarsi superflua.

Agobiopsia: tecnica particolare che permette di prelevare un campione di tessuto da un’area risultata sospetta alla mammografia ma non palpabile. Il tessuto asportato dall’agobiopsia è inviato ad un patologo per l’esame cito-istologico.

Biopsia escissionale: il chirurgo asporta il nodulo in parte o interamente e lo invia ad un patologo per l’esame cito-istologico.

 

Quali terapie possono essere utilizzate nel caso in cui si scoprisse un carcinoma della mammella?

Una volta terminata la fase diagnostica, se si accerta la presenza di un’area sospetta si passa alla fase terapeutica chirurgica. L’intervento chirurgico è il trattamento più diffuso nel caso di tumore della mammella. Esistono diverse tipologie di intervento. L’operazione di asportazione della mammella (o di una consistente porzione di tessuto mammario) si chiama mastectomia; la ricostruzione della mammela è un intervento praticabile contemporaneamente alla mastectomia o in un secondo tempo. Un’operazione che asporta il tumore ma non l’intera mammella è denominato intervento di chirurgia conservativa, ed è rappresentato dalle tumorectomie, cioè l’escissione del nodulo e del lobulo mammario adiacente, e dalle quadrantectomie, cioè l’escissione di un quadrante mammario e dei linfonodi ascellari omolaterali. Questi interventi sono poi seguiti da sedute di radioterapia allo scopo di distruggere ogni cellula cancerosa residua.

La terapia radiante (o radioterapia) consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule cancerose e impedirne la crescita. I raggi partono da una sorgente radioattiva esterna al corpo della paziente e vengono indirizzati verso la mammella con l’aiuto di una macchina (radioterapia esterna). Le radiazioni sono talvolta erogate da sorgenti radioattive impiantate direttamente nella mammella e contenute in sottili tubicini di plastica (radioterapia interna intracavitaria). Alcune donne sono sottoposte ad entrambi i tipi di radioterapia. Nel caso di radioterapia esterna, il trattamento verrà eseguito giornalmente presso un ospedale o clinica. Se la radioterapia è successiva ad un intervento di chirurgia ricostruttiva, le sedute si svolgeranno 5 giorni alla settimana per 5 o 6 settimane. Al termine di questo periodo, il radioterapista indirizzerà verso il sito in cui il tumore era localizzato un’erogazione supplementare (interna od esterna) di radiazioni. Le pazienti sottoposte a quest’ultimo tipo di terapia resteranno ricoverate per un breve periodo in ospedale sino alla rimozione degli impianti. La radioterapia, da sola o in combinazione con la chemioterapia o l’endocrinoterapia, viene prescritta talvolta prima di un’operazione chirurgica allo scopo di distruggere le cellule tumorali e ridurre le dimensioni della neoplasia, specie nei casi in cui il tumore è di grosse dimensioni o non facilmente asportabile dal chirurgo.

La chemioterapia consiste nell’impiego di farmaci anti-cancro per distruggere le cellule tumorali. Nel caso di carcinoma mammario, si somministra di solito una combinazione di farmaci, per bocca oppure per endovena. In entrambi i casi, la chemioterapia è una terapia sistemica, perché i farmaci entrano nel circolo ematico diffondendosi per tutto l’organismo. La chemioterapia è somministrata in cicli: a un periodo di trattamento segue un periodo di riposo, poi un altro di trattamento e così via. Molte donne ricevono la chemioterapia in un ambulatorio ospedaliero, altre presso lo studio del proprio medico, o a casa.

L’endocrinoterapia mira a bloccare l’azione degli ormoni sulle cellule tumorali. Questo tipo di terapia prevede in certi casi l’uso di farmaci che modificano il funzionamento ormonale, oppure l’asportazione chirurgica delle ovaie, che producono gli ormoni femminili. Come la chemioterapia, anche la terapia ormonale si può definire sistemica, perché interessa tutte le cellule dell’organismo. Sono in corso studi per scoprire nuovi trattamenti per tutti gli stadi del cancro. L’asportazione del cosiddetto linfonodo sentinella potrebbe ridurre il numero di linfonodi da rimuovere durante l’intervento chirurgico ed impedire la possibile formazione di linfoedemi, o per lo meno diminuirne la gravità. I ricercatori stanno anche sperimentando nuovi dosaggi di chemioterapia e nuovi cicli di cure, nonché l’efficacia della chemioterapia prima di un intervento chirurgico (neoadiuvante) e nuove combinazioni di trattamenti, come ad esempio l’aggiunta della terapia ormonale o della radioterapia alla chemioterapia.

Ultiriori informazioni ed approfondimenti sono disponibili sul sito www.senosalvo.com